La Certificazione di parità di genere

Con la Legge del 5 novembre 2021, n. 162 il Legislatore – in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – è intervenuto in materia di pari opportunità sul luogo di lavoro, al fine di contrastare il crescente divario salariale tra uomini e donne nel mercato del lavoro, introducendo la c.d. Certificazione di parità di genere.

Sebbene nei paesi dell’UE ci sia una lunga tradizione legislativa a sostegno della parità tra uomo e donna, questa sembra non trovare una compiuta applicazione in ambito lavorativo: ciò che si osserva è la persistenza di un significativo gender pay gap in tutti i paesi, indipendentemente dal livello del tasso di occupazione femminile, dai regimi di welfare state, o dalle specificità delle legislazioni nazionali in tema di parità retributiva.

Difatti, il principio di parità di trattamento retributivo tra uomo e donna, introdotto con il Trattato di Roma del 1957, sembra essere tradito dalla realtà e continua essere al centro dell’agenda nazionale, comunitaria ed internazionale.

La Certificazione di parità di genere si pone l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere in tutte le aree che presentano maggiori criticità, come le opportunità di carriera, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.

Essa trova la propria disciplina contenuta nell’art. 46-bis del d. lgs. n. 198 del 2006 (Codice delle Pari Opportunità) ed è accessibile a qualsiasi datore di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni e dalle soglie di organico. 

A differenza invece del Rapporto Periodico sulla Situazione del Personale Maschile e Femminile, introdotto nel nostro ordinamento per la prima volta con la legge del 10 aprile 1991, n. 125 e disciplinato oggi dall’art. 46 del Codice delle Pari Opportunità, il quale al comma 1 specifica come:  “Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cinquanta dipendenti sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta”.

La Certificazione di parità di genere si acquisisce quindi su base volontaria e su richiesta dell’impresa. L’azienda che intende ottenere la certificazione deve richiederla ad appositi organismi riconosciuti da Accredia – l’ente ufficiale di accreditamento sul territorio nazionale –  abilitati al rilascio della certificazione, che operano secondo la Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022. Si tratta di un documento messo a punto dall’UNI, che riflette gli esiti del confronto svoltosi all’interno del Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese coordinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la partecipazione di altre Amministrazioni, con cui sono stati definiti criteri, prescrizioni tecniche ed elementi funzionali alla certificazione di genere.

In questo quadro, la prassi si articola su due grandi aree:

  • quella relativa ai Key Performance Indicators (KPI) c.d. indicatori, che l’organizzazione deve conseguire per ottenere la certificazione per la parità di genere,  in  relazione a  sei  aree  di    valutazione: 1) cultura e strategia; 2) governance; 3) processi HR; 4) opportunità di crescita e di inclusione delle donne in azienda; 5) equità remunerativa per genere; 6) tutela della genitorialità e conciliazione vita lavoro.

Ogni singolo indicatore è associato ad un punteggio che è corrisposto solo se l’indicatore è integralmente soddisfatto. Il raggiungimento dello score minimo complessivo del 60% sul 100%, previsto dalla prassi, abilita alla certificazione.

  • quella relativa al Action Plan, che consiste in una serie di iniziative che l’organizzazione deve compiere per ottenere la certificazione per la parità di genere.

Per esempio, l’organizzazione deve attestare che, al suo interno, non si sono registrate nell’arco dei due anni precedenti gravi violazione dei diritti sulla parità di genere o comunque potenziali minacce in tal senso;  l’azienda deve attestare l’assenza di contenziosi giudiziari conseguenti a violazioni dei diritti a tutela della parità di genere; l’organizzazione deve: a) predisporre procedure di selezione ed assunzione che definiscono regole atte a prevenire la disparità di genere, ad esempio contattare in modo equo i profili candidati sulla base del genere; b) fare sì che le descrizioni della mansione da assumere siano neutre rispetto al genere ed il processo di reclutamento sia rivolto sia agli uomini che alle donne; c) non permettere che, durante i colloqui, siano effettuate richieste relative ai temi del matrimonio, della gravidanza o delle responsabilità di cura.

Al fine di promuovere l’adozione della Certificazione, l’ottenimento di essa è accompagnato da un principio di  premialità. Più in particolare, sono tre le premialità che derivano dalla certificazione, confermate anche per il 2023.

La prima è di tipo contributivo. Dalla lettura dell’art. 5 della legge n. 162 del 2021, le aziende private, una volta certificate, hanno la possibilità di beneficiare di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali, pari all’1% del totale e fino ad un massimo di 50.000 € annui (la soglia massima di esonero della contribuzione datoriale riferita al periodo di paga mensile è, pertanto, pari a 4.166,66 euro (€ 50.000,00/12).

Con la Circolare n° 137 del 27/12/2022, l’INPS ha pubblicato le istruzioni operative per consentire ai datori di lavoro che abbiano conseguito la certificazione della parità di genere entro il 31 dicembre 2022, di poter beneficiare del bonus contributivo 2023.

Per questi datori di lavoro, le domande possono essere presentate fino al 30 aprile 2023.

Per il 2024 non sono ancora stati resi noti i termini per le richieste, si attendono quindi indicazioni da parte dell’Istituto.

Più in particolare, ai fini dell’ammissione all’esonero, le organizzazioni in possesso della certificazione di genere, per il tramite del rappresentante legale, di un suo delegato o dei consulenti del lavoro, devono inoltrare all’INPS, esclusivamente in via telematica, l’apposita domanda contenente:

a) i dati identificativi dell’azienda;

b) la retribuzione media mensile relativa al periodo di validità della certificazione di parità di genere;

c) l’aliquota datoriale e la forza aziendale media stimata relativamente al periodo di validità della certificazione di parità di genere;

d) la dichiarazione sostitutiva di essere in possesso della certificazione di parità di genere e di non essere in corsa in provvedimenti di sospensione dei benefici contributivi adottati dell’ispettorato nazionale del lavoro;

e) il periodo di validità della certificazione di parità di genere di cui all’art. 46-bis.

Per verificare il possesso dei requisiti che legittimano la fruizione dell’esonero, il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica periodicamente all’INPS i dati identificativi delle aziende private in possesso della certificazione di parità di genere. In caso di indebito beneficio dell’esonero, i datori di lavoro sono tenuti al versamento dei contributi dovuti nonché al pagamento delle sanzioni previste.

La seconda premialità riguarda soltanto le aziende certificate alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento. Essa si traduce in una corsia preferenziale, in quanto a queste aziende è riconosciuto un punteggio premiale da parte delle autorità che erogano fondi europei, nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato.

La terza premialità riguarda gli appalti. Le amministrazioni aggiudicatrici possono indicare nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, criteri premiali applicabili alle aziende certificate in sede di valutazione dell’offerta.